White Widows

LE SPOSE DI KRISHNA – LA CITTA’ DELLE DONNE

foto e testo di Laura Salvinelli

 

   Vengono a migliaia da tutta l’India e soprattutto dal Bengala, perché se non sono ricche le famiglie le cacciano di casa o semplicemente non si prendono più cura di loro. O anche vengono per sincera devozione. Sono le vedove di Vrindavan.

   La scrittrice Ruth Prawer Jhabvala ci racconta la storia di Durga, una vedova che era stata sposata da ragazzina a un vecchio impotente. Morendo, lui le aveva lasciato dei soldi, ma anche un senso vago che “in un modo o nell’altro, da qualche parte, era stata imbrogliata sul resto.” Un giorno una vecchia zia, Bhuaji, inizia a raccontare a Durga le storie della leggenda di Krishna, e la vita di Durga comincia a cambiare. “A volte - quando era sola la notte o era stesa a letto nei pomeriggi caldi e silenziosi, con i suoi pensieri rivolti a Krishna - sentiva in lei nuove, strane agitazioni che erano quasi come una malattia, con qualcosa che le tirava nelle viscere e uno scioglimento nelle cosce. E ella tremava e si chiedeva se fosse Krishna  che scendeva in lei, come le aveva promesso Bhuaji”. 

   Krishna, il dio più popolare del pantheon hindu, il divino mandriano, adorato da milioni e milioni di contadini indiani per le sue umili origini, si dice sia nato 3500 anni fa a Mathura, nello stato dell’Uttar Pradesh. A pochi chilometri da lì, dove ora si trova la cittadina di Vrindavan, ai tempi delle leggende c’erano le foreste dove il dio si divertiva, da adolescente, a corteggiare le gopi (mungitrici), e rubava i loro vestiti mentre le fanciulle facevano il bagno nel fiume, e dove soprattutto sedusse la bella Radha. La storia d’amore di Krishna e Radha è stata raccontata nel poema lirico erotico del dodicesimo secolo Gitagovinda, che è ancora rappresentato e cantato per tutta l’India. Particolare curioso di questa storia, se si pensa alla tradizione conservatrice della famiglia indiana, è che Radha era una donna sposata. D’altro canto, pare che Krishna, il dio dell’amore infinito, detto anche il Rubacuori, abbia avuto 16.108 mogli! 

   Mathura e Vrindavan con i loro innumerevoli templi, solo a Vrindavan si dice ce ne siano 5000, sono importanti centri religiosi per migliaia di pellegrini e sadhu (asceti) indù. Durante il Janmastami, la festa che celebra la nascita di Krishna, il fervore religioso diventa vera e propria frenesia. Vrindavan è anche la sede del centro del movimento degli Hare Krishna che, nonostante le controversie e l’ammissione nel 1999 che durante gli anni Settanta e Ottanta c’erano stati numerosi casi di abuso su bambini nel loro collegio, ancora attira moltissimi devoti occidentali oltre che indiani.

   Come Durga nel racconto anche molte delle migliaia di vedove hindu che vivono a Vrindavan si devono sentire, consciamente o inconsciamente, in qualche modo “imbrogliate sul resto.” Fra i vari istituti caritatevoli che si occupano di loro lo Sri Bhagwan Bhajanashram è il più grande e quello che ha la fama peggiore. Questi ashram (ritiri spirituali) furono fondati da ricchi commercianti di Calcutta di casta Marwari per scopi filantropici. Per 5 rupie al giorno, vale a dire meno di 10 centesimi di euro, e un bicchiere di latte, nel Bhajanashram circa 2000 vedove e qualche altra reietta cantano i bhajan (canti devozionali: il canto del nome di Krishna non deve essere mai interrotto) per due turni di 4 ore l’uno, e come extra svolgono ogni tipo di lavoro, dalle pulizie al trasporto di grandi sacchi di riso per il magazzino. Raramente vengono beneficate da distribuzioni di cibo e indumenti, ma sempre alla fine dei turni sono invitate a lasciare un’offerta per il dio. In compenso devono fruttare all’organizzazione un bel giro di denaro, data l’incredibile quantità di donazioni provenienti dai devoti ogni giorno. La gestione dell’ashram è nelle mani di soli uomini.

   Haridasi viene dal Bengala, ha 32 anni, suo marito è morto da 14 anni. “Quando diventiamo vedove ce ne andiamo perché non ci sono molti soldi in famiglia, e cosa possiamo mangiare se restiamo a casa? Nessuno ci può invitare a restare. Non abbiamo bisogno di sposarci di nuovo. Dobbiamo avere solo un marito, e rimanergli fedeli tutta la vita”.

   Krishnadasi ha 84 anni, e viene a cantare nel Bhajanashram da 30. “Per vivere devo mendicare, chiedo a tutti, se mi danno qualcosa va bene, se non mi danno niente va bene lo stesso”.  Il marito le è morto quando aveva 17 anni, e non aveva ancora fatto figli. “Ci si sposava presto, e si diceva che se la ragazza andava a stare a casa del marito prima di avere le mestruazioni, l’uomo era molto fortunato”.

   Krishnapriya, 45 anni, viene da una famiglia brahmina dell’Orissa. Anche lei non ha studiato. E’ diventata vedova solo l’anno scorso, ma il marito l’aveva lasciata 25 anni fa. “Sono scappata via di casa senza dire niente a nessuno, perché me lo avrebbero impedito, e ho portato con me mio figlio, che ora è grande e vive anche lui a Vrindavan, e fa le decorazioni per i templi. Non mi è mai venuto a cercare nessuno della famiglia di mio marito. So cucire bene, hai qualche lavoro da offrirmi?” 

   Naraini ha una sessantina di anni, viene dal Bengala e fa le pulizie nell’ashram. “C’è un sacco di lavoro da fare, e non ci danno molto da mangiare. Io sono malata e non ho i soldi per curarmi, quindi non posso restare, fra poco me ne devo andare”.

   Subhadra, 52 anni, vive a Vrindavan da 30. Il marito ce l’ ha, non è vedova, ma l’ ha lasciata, come spesso succede, per un’altra donna. “Loro [gli uomini del Bhajanashram] non ci danno niente. Si prendono soldi per tutto. Solo quando ci sono grandi donazioni distribuiscono qualcosa”. Ha 4 figlie e un figlio, ma vivono tutti a Calcutta, e non vengono mai a trovarla ne’ si prendono cura di lei in nessun modo.  

   Uma ha 65 anni. Dopo un matrimonio durato 30 anni, da 17 è vedova. Quando il marito è morto, la famiglia non si è più occupata di lei. “E’ vero, qui ci danno solo un po’ di latte. Tutto il resto lo dobbiamo comprare. Con la tessera del sussidio del governo paghiamo il riso 3 rupie al chilo invece delle 10-11 del bazaar”.

   Lakshmi (il nome della dea della fortuna) è la nipote di una delle vedove. E’ orfana di padre e di madre. E’ cieca dalla nascita. Ha 9 anni. “Mi piacerebbe andare a scuola, ma non posso perché sono povera. I soldi per comprare le scarpe ce li ho, ma giro scalza perché è bello andare a piedi nudi sulla terra di Krishna”.

   Ai miei occhi occidentali, tutte scalze e vestite col sari bianco (il colore del lutto e della rinuncia) sembrano anime uscite da qualche girone del Purgatorio della Divina Commedia.

   Ma per fortuna la realtà intorno alle vedove di Vrindavan non è tutta qui. Altre organizzazioni, più piccole del Bhajanashram, si prendono cura di loro con maggiore attenzione, come la Ramakrishna Mission, il Pagal Baba, il Nepalese e l’Amarwari ashram, o l’Ong indiana Food for Life. Finanziate da donazioni private o dal governo dell’Uttar Pradesh, queste organizzazioni offrono alloggio, distribuzioni di cibo e indumenti, assistenza medica e anche piccole pensioni ma non riescono a aiutare tutte le donne.

   Kusan Singh è una donna funzionario del governo, e si occupa della gestione del Pagal Baba ashram, dove vivono 304 vedove. “E’ una situazione di emergenza, perché il numero delle vedove che vivono a Vrindavan è in continuo aumento. Noi siamo in disaccordo col governo del Bengala, lo stato da cui proviene la maggioranza delle donne, perché non fa niente per loro. Da 5 anni, grazie all’interessamento dell’ex-ministro Uma Bharti, lo stato dell’Uttar Pradesh stanzia i fondi per affittare i due edifici del Pagal Baba e per dare a ogni vedova che risiede qui da almeno 4 anni una pensione mensile di 150 rupie [un po’ meno di 3 euro]. Riusciamo anche a fornire assistenza medica ogni 15 giorni, coperte e indumenti, e una tessera di sussidio per comprare sottocosto 10 chili di grano e 12 di riso al mese. E 1000 rupie per il loro funerale: quello di avere una cerimonia funebre decente, con la cremazione e il banchetto per tutti i partecipanti, è un grande cruccio per le donne”.

   Nirguna Devi Dasi è una 47enne sensibile e colta appartenente al gruppo degli Hare Krishna da quando ne aveva 14. E’ animata da un fortissimo spirito di servizio, e con gran generosità mi ha messo a disposizione molti dati sulle vedove. E’ a Vrindavan da 7-8 mesi con la fotografa americana Lakshmi Greenberg (30 anni, anche lei degli Hare Krishna dalla nascita) per raccogliere materiale per conto di una casa editrice new age di Los Angeles.

"Ti voglio dire una cosa che abbiamo capito dopo mesi di lavoro, dopo un primo momento in cui piangevo tutti i giorni: non è necessariamente vero che le donne siano maltrattate o sfruttate. Questo non per dire che non ci siano problemi, ma per mostrarti tutti e due i lati della realtà. C’è una donna a Vrindavan di 104 anni che è qui da quando ne aveva 21. Non è vedova, ha deciso di non sposarsi. E’ una persona eccezionale: per andare all’ashram cammina per 8 chilometri, e lo fa 2 o 3 volte al giorno in questo clima feroce, e la sua mente è trasparente come il cristallo. Si nutre di solo latte, e fino a 4 anni fa dormiva all’aperto. Le hanno fatto incontrare il presidente dell’India perché ha trovato delle divinità sul fiume, è stata una storia incredibile. E’ una donna molto avanzata spiritualmente, ma se la incontri per strada pensi che sia solo una mendicante. Lei ti può raccontare di quando a Vrindavan c’era ancora la giungla, e quando si attraversava la foresta, la gente portava maschere e torce per non farsi assalire dalle tigri. E ti può dire che all’inizio le donne venivano qui per rinunciare al mondo e seguire gli insegnamenti dei loro guru, e non era questione di mendicare, perché non c’era nessun ashram a cui chiedere qualcosa. Le donne vivevano pacificamente, e nessuno le trattava male, nessuno ne abusava. 

E c’è anche la storia di Madurisharam, che è giovane e bella, ha 21 anni, e ha lasciato la famiglia ad Allahabad a 12 anni. Quando le abbiamo chiesto se è stata mai infastidita, ha detto di no, mai, anzi si è sempre sentita molto rispettata. Un uomo del posto le ha costruito la casetta sulle rive del fiume Yamuna dove vive da sola in perfetta serenità.

All’ospedale della Ramakrishna Mission ci hanno confermato che non si sono mai presentate vedove incinte o stuprate.

Purtroppo a questo gruppo di donne se n’è aggiunto nel tempo un altro, che viene qui per necessità. Sono le vedove che vengono abbandonate dalle famiglie, quelle che specialmente in Bengala si pensa che portino sfortuna, e che praticamente sono trattate come delle intoccabili. O sono donne che scappano dalla povertà e dalle inondazioni, sapendo che a Vrindavan almeno non vengono violentate e non muoiono di fame. So di sembrare molto dura, ma ti devo dire che molte di queste donne si dipingono più misere di quello che sono, specialmente quando incontrano gli occidentali. Lo fanno per avere soldi. 

Non ti scordare che l’India è un paese molto povero. Le nostre risorse sono limitate e usate male dai politici, e noi siamo un miliardo di persone. E’ una realtà sfortunata, ma è la vita, e bisogna accettarla. La grandezza di queste donne è che il 90% di loro accetta il proprio destino, e non incolpa nessuno della propria infelicità. Secondo me è molto importante non interferire sul loro sistema di credenze. Cosa è meglio: farsi aiutare da uno psicoanalista pagando 100 dollari l’ora o prendere rifugio in una qualche tradizione? Ci sono diversi livelli di realtà, e non si può imporre un livello sull’altro. Ogni sistema funziona nel suo mondo. E dobbiamo anche considerare che se queste donne non fossero venute qui, mendicherebbero affamate o si prostituirebbero per le vie di Calcutta.

Il mio punto di vista è di qualcuno che è sul sentiero spirituale, per questo posso capire e cerco di comunicare la gioia di avere pochi desideri materiali, e lo so che questo sembra contraddittorio, perché vivo in questa bella casa. 

L’ultima donna che abbiamo incontrato ieri al Pagal Baba, quella che è scoppiata a piangere, sai cosa diceva? Diceva “piango perché sono così felice di essere venuta ai piedi del mio Signore, e sono in pace perché qui sono considerata come un essere umano normale, mentre a casa mia non ero più desiderata.”

Ci sono tante storie tristi, ma ci sono anche tante storie belle”.

   E io che amo le storie, non vorrei mai dimenticarle. In India fin da tempi immemori alle vedove, ma anche alle concubine, alle sorelle, alle madri, è stata offerta una “scelta” per finire con onore una vita di sottomissione. Le donne che la praticavano venivano per sempre ricordate con venerazione. Il rito del Sati, l’autoimmolazione della donna sulla pira del suo uomo, è stato abolito legalmente nel 1859, ma è stato compiuto ancora fino a tempi recenti, per fortuna sempre più sporadicamente. Sopravvive in forma simbolica nella rinuncia al mondo che si chiede a queste donne.