ICRC Kabul-Alberto Cairo

ALZATI E CAMMINA, MA EVITA LE MINE

foto e testo di Laura Salvinelli

 

   Nel saggio Un mondo senza immaginazione (Guerra è pace, Tea, 2003), la scrittrice indiana Arundhati Roy ha scritto che “l’unico sogno che vale la pena di avere, è quello di vivere mentre sei in vita e morire solo quando arriva la morte […] Amare. Essere amati. Non dimenticare mai la propria insignificanza. Non assuefarsi mai all’indicibile violenza e alla grossolana disuguaglianza della vita intorno a te. Cercare la gioia nei posti più tristi. Inseguire la bellezza fin dentro la sua tana. Non semplificare mai le cose complicate e non complicare mai quelle semplici. Rispettare la forza, mai il potere. E, soprattutto, guardare. Cercare di capire. Non distogliere mai lo sguardo. E mai, mai dimenticare”. Queste parole mi sono state di continua ispirazione durante la visita al centro ortopedico di Kabul.

   In Afghanistan la Croce Rossa Internazionale è impegnata non solo come tutti sanno con ospedali e protesi, e con prigionieri e prigioni, ma anche in agricoltura, veterinaria, acquedotti, igiene pubblica, prevenzione da incidenti da mine. Nato nel 1988 per ridare gambe e braccia ai feriti di guerra, nel 1994 il centro ortopedico apre le porte a tutte le persone con handicap motori. Nel 1995 iniziano le distribuzioni mensili di cibo a vedove e disabili, e nel 1996 il programma di visite a domicilio ai paraplegici. A Kabul si costruiscono fino a 3000 gabinetti al mese. Nel 1997 si inaugura il programma di micro-prestiti (prestiti per incoraggiare il lavoro dei disabili) e la scuola a domicilio per bambini con handicap gravi. Nel frattempo, si sono restaurati ospedali e si sono aperti nuovi centri ortopedici a Mazar, Herat, Jalalabad, Gaznì, Gulbahar, Faizabad. Tutte queste attività continuano anche ora che la guerra è finita, perché l’Afghanistan è sempre in stato di emergenza e lo sarà per un bel po’. Come dice Alberto Cairo, che dirige i centri ortopedici, di lavoro da fare ce n’è tanto.   

“Per noi cambia molto poco, perché il lavoro che abbiamo fatto era da una parte emergenza, ed è e rimarrà emergenza per sempre, perché le mine ci sono, perché i feriti hanno bisogno di noi, una protesi ha bisogno di essere cambiata ogni 2-3 anni, quindi c’è sempre bisogno di assistenza, ma allo stesso tempo c’è anche lo sviluppo, perché si sviluppa un’attività che è utile per tutti e che andrà avanti. Abbiamo formato e formiamo degli afghani che fanno il lavoro, che lo insegnano agli altri, che lo portano avanti, insomma è un qualcosa che si trasmette, è uno sviluppo, è un investimento futuro, non è più solo emergenza come prima, adesso bisogna guardare con gli occhi un po’ più speranzosi e fiduciosi, e creare qualcosa che resti. Quindi è una cosa molto positiva, è una cosa che ci aiuta, purtroppo con la consapevolezza che di nuovi amputati ce ne saranno sempre perché le mine per i prossimi 30-40 anni ci saranno. Spero veramente, stiamo lottando adesso perché nella nuova legislazione che stanno creando ci sia uno spazio in cui vengano riconosciuti i diritti dei disabili. Tutto quello che facciamo adesso è sì interessante, importante, utile. Però è sbagliato se vuoi, perché stiamo rimpiazzando lo stato, rimpiazzando le autorità, rimpiazzando il governo, mentre è il governo che dovrebbe garantire certe cose. Al momento noi facciamo dei regali alla gente, invece dovrebbe essere diritto delle persone ottenere certe cose, cioè una gamba nuova, un lavoro, col sistema che in tutti gli stati del mondo è stato messo in piedi: in tutti gli uffici governativi o nelle grandi industrie, deve essere garantita una quota per i disabili. Ecco, questa è la prima cosa che dovrebbero fare qua. Fino ad adesso no. Non soltanto, qui siamo all’aberrazione opposta, che se tu sei handicappato ti licenziano, se diventi handicappato perdi il lavoro. Se ti assumono come disabile, ti assumono proprio per farti un regalo o perché conosci qualcuno, ma non è il tuo diritto. Ti guardano come se chiedessi la luna quando vai a chiedere lavoro e sei handicappato. L’altro giorno un signore cieco dalla nascita laureato in Pakistan in chimica e fisica, quindi materie che non sono facilissime, ci ha raccontato che quando ha chiesto di iscriversi all’università qui a Kabul gli hanno risposto «qui non siamo in un vicolo del bazar»”.

   Nonostante l’indicibile violenza e la grossolana disuguaglianza della vita, il centro ortopedico non è un luogo di angoscia, perché qui i disabili ricominciano a vivere. La buona idea di Cairo (a cui tutti i pazienti ed ex-pazienti con cui ho parlato vogliono un bene dell’anima e considerano come un padre) è stata quella di far lavorare nel centro solo ex-pazienti, e di farne un centro di disabili per disabili. Chi più di un disabile può capire i problemi di chi è nelle sue stesse condizioni e, soddisfatto di aver trovato un lavoro appassionante e utile in un paese il cui governo non garantisce nessuna, proprio nessuna forma di assistenza, dargli speranza e quindi aiuto? Alberto ha raccontato la sua esperienza e ha raccolto tante storie di disabili nel suo bel libro Storie da Kabul (Einaudi 2003).

   Sono stata accolta nel centro con tanta curiosità, affetto, ironia. Ho guardato, ho cercato di capire. Ho raccolto foto e storie per mai, mai dimenticare.

 

ABDULLAH

“Prima dell’incidente ero giudice. Poi la mia vita si è spezzata. Nel 1992 la mia casa è stata bombardata e io sono finito sotto un muro. Da allora sono rimasto paraplegico. Seguirono tre anni terribili. Non potevo più mantenere mia moglie e i miei figli. E’ stato mio fratello a parlarmi del centro ortopedico. Sono venuto qui, e Mr Alberto mi ha dato la possibilità di rimettermi in piedi. Con il deambulatore, ma anche e soprattutto con l’offerta di lavorare qui. Ho frequentato i corsi di fisioterapia e di inglese, e piano piano la vita è ricominciata. Ora il lavoro con i disabili è tutta la mia vita. Nel centro noi disabili lavoriamo molto bene, perché conosciamo i problemi di chi è come noi. Lavoro alla ricezione. Qui si fa la registrazione, si visitano, si avvia il programma di micro-crediti, e dei corsi di istruzione, tutto comincia da qui. Un sacco di lavoro. Ogni giorno passano da qui circa 250 persone. Sono felice del mio lavoro e non lo cambierei con nessun altro. Quando la gente che arriva senza gambe se ne va con le protesi senza stampelle, io sono felice. E’ proprio un lavoro che dà gioia. 

Il mio sogno è di un buon futuro, di un futuro in cui si crederà che tutti i popoli del mondo fanno parte della stessa famiglia, senza distinzione di religione, di sesso, di colore della pelle”.

 

SIMA

“E’ da tre anni che preparo gambe nel laboratorio del centro ortopedico. Frequento un corso per tecnici, e sono molto felice del mio lavoro. Il mio capo è molto gentile e buono, è venuto qui in Afghanistan per migliorare una situazione difficile. 

Sono sposata e ho due figli e una figlia. Mio marito lavora per le Nazioni Unite. Quando torno a casa mi occupo dei figli e pulisco la casa. Sono sempre molto occupata. Mio marito ha due mogli, e per questo sono molto infelice. Non so perchè si sia sposato ancora. Piango tanto. Il mio cuore è pieno di dolore. Non è bene che vada con un altra donna, un mese qua e un mese là. Vivono in un altra città. Lei è pure una donna vecchia. Sogno di avere mio marito tutto per me, senza l’altra moglie”.

Mentre parla c’è un coro di “Non è giusto, non è giusto!”, che viene dalle altre ragazze che lavorano al laboratorio.

 

ZARIFA

“Lavoro al laboratorio, apro, chiudo e riparo i tutori. Il mio capo è molto bravo e gentile.”

Non state mica scherzando? Perché qui tutti dicono che il capo è molto buono e bravo!

“No, non sto scherzando. Lui è come mio padre. Ha un gran cuore.

Sono poliomelitica alla gamba sinistra da quando avevo 5 anni. Sono sposata con un insegnante. Ho 4 figlie e un figlio. Io sono molto felice con mio marito.  Ha una moglie sola. Mi aiuta anche  a casa. Gli piace cucinare. Mi regala i rossetti. Adoro truccarmi e tingermi i capelli. Mi mettevo il rossetto anche sotto il burqa quando c’erano i Talebani. Mi si  riconosceva anche col burqa perché il mio naso è così lungo…Mi dicevano: “Togliti il dito dal viso”, e io: “Non è il dito, è il mio naso”… Il burqa è orribile. Quando fa caldo è soffocante.”

SIMA: “Mi ha indebolito la vista. Ora porto gli occhiali”.

 

Poligamia. I guardiani.

ABDUL MOQUEEM: “Sai, in Afghanistan abbiamo questa regola della legge islamica che un uomo può avere una moglie, e dopo di ciò, se ha la possibilità e il denaro, egli può scegliere di averne una seconda e una terza. Noi abbiamo questa cultura e costume che la maggioranza degli uomini pratica la poligamia: due-tre, ma anche sei o addirittura sette mogli. Io ne ho solo una. Secondo me non va bene per quegli uomini che non hanno la possibilità di sposarsi ancora”.

HAMID NOORY: “No, se un uomo sposa più mogli, non sarà mai felice. Le mogli stanno sempre a litigarsi, penso che una sia meglio”.

MIRZAIHRAIM: “Io sono molto felice che la legge sia così, La notte è meglio per un uomo che ha più mogli”.

Ridacchiano tutti.

NAZIF MOHAMMAD: “Niente affatto, io penso che sia sbagliato. Una moglie sola è sempre meglio”.

 

ROHAFZA

“A undici anni ho avuto questo problema dell’amputazione sopra il ginocchio della gamba destra per incidente da mina. Ho studiato e mi sono iscritta alla facoltà di medicina, ma poi l’università si è interrotta. Sono venuta al centro ortopedico per la protesi, ma poi il nostro capo mi ha indirizzata alla scuola di fisioterapia. Alberto è un uomo gentile. Tutti noi afghani lo amiamo, perché è come un padre per noi. Ora sono caporeparto donne. Qui visitiamo le donne e i bambini. La mattina insegno fisioterapia ai colleghi, a volte insegno in altri istituti. Amo molto il mio lavoro. Vorrei tanto essere una persona brava che aiuta tutti con gentilezza. Ho il sogno di andare a visitare tutti i disabili di tutti i paesi del mondo. Conosco bene i problemi dei disabili. Vorrei aiutare tutti i disabili del mondo.

Non mi sono ancora sposata. In Afghanistan se sei una donna handicappata è difficile trovare un buon marito. Qui da noi la scelta dipende sempre dalla famiglia. E’ la famiglia che decide del fidanzamento e del matrimonio dei figli e delle figlie. Noi handicappati abbiamo meno chances. Nessuno vuole sposarsi una disabile. Se una donna è sposata e diventa handicappata, il marito si prende un’altra moglie perché la prima diventa inutile, non può più fare niente, non può più prendersi cura dei figli. Ma se è l’uomo a essere disabile, non ci sono problemi. Non c’è uguaglianza. Se la disabile è una ragazza, la famiglia non la vuole mantenere, la lascia a giacere in un angolo della casa, e non si prende cura della sua educazione né di niente. I ragazzi disabili hanno dei problemi, ma meno delle ragazze. 

Ho cominciato a lottare per i nostri diritti. Due settimane fa, sono tornata da un convegno internazionale sui diritti delle donne disabili che si è tenuto a Bangkok. C’erano rappresentanti di tutti i paesi, tranne l’America”.

 

MAHMOUD

Il nome è stato cambiato, anche se lui non voleva.

“Di che religione sei? Sai, l’Islam è completamente sbagliato. Guarda cosa fanno i musulmani. Uccidono le persone, distruggono le cose, sono sempre contro le donne. Guarda invece i cristiani. Brava gente. La loro politica è buona, perché aiutano sempre gli altri, specialmente i disabili ed i poveri. Se gli Americani non fossero venuti in Afghanistan, i Talebani avrebbero ucciso tutti i poveri. Odiano le donne. Le mie bambine durante il regime talebano non potevano andare a scuola, non potevano neanche uscire da casa. I miei figli hanno ancora paura dei Talebani, hanno paura di essere uccisi. Mentre non hanno paura dei soldati dell’Isaf, che sono molto gentili con i bambini, e aiutano sempre le persone dell’Afghanistan, anche i poveri. Brava gente. Bella politica. Non mi piace l’Islam. Non mi piace l’Islam. Non mi piace l’Islam.

Per queste ragioni ho cambiato religione, e sono diventato cristiano, del gruppo “Son of the God” (figlio del Dio), e da due mesi ho cambiato vita. Sono molto felice, e anche la mia famiglia è felice. Ora prego sempre Dio.

L’incidente mi è successo 15 anni fa. Ero un funzionario dell’esercito di Najibullah a Kandahar durante i combattimenti tra Najibullah e i mujaheddin. Persi la gamba e tornai a Kabul. Mi sono ritirato dal governo, ma nessuno mi ha aiutato. 10 anni fa sono venuto qui al centro ortopedico per la protesi. Mr Alberto mi ha chiesto come facevo a vivere, e quando ha saputo che avevo famiglia, ma ero senza lavoro, mi ha dato del denaro da portare a casa, e per comprare della farina a mia moglie. Mi ha anche offerto un lavoro. Mi ha dato una nuova vita. Senza lavoro la vita familiare non sarebbe continuata, mia moglie era sempre contro di me quando ero disoccupato. Ero andato a chiedere aiuto al governo, ma non mi hanno trovato lavoro. Solo Alberto mi ha aiutato. 

Prego Dio che lo aiuti sempre, e che aiuti me e la mia famiglia, e tutta la gente che ne ha bisogno”.

 

WAHIDULLAH

“L’incidente risale a 14-15 anni fa. La guerra mi ha fatto perdere un braccio, e anche mio padre. A quei tempi la vita era molto dura, ed io non potevo mantenere la mia famiglia. Sono arrivato qui tre anni fa. Ero molto povero, ed avevo bisogno di una protesi per il braccio. Mr Alberto mi ha proposto di restare a lavorare qui nella reception. Ho fatto un corso al centro per imparare l’inglese. Mi piace imitare l’accento americano, e tutti i miei amici mi incoraggiano a farlo. Sono anche fisioterapista, e sto seguendo dei corsi di medicina. 

Ora sono felice, e non faccio altro che esprimere la mia felicità per avere un buon lavoro qui, e per i pazienti che curiamo, e per i programmi di Mr Alberto per i disabili. Sono fidanzato, e il mio sogno è di trovare i soldi per sposarmi.

Non posso dire niente della situazione di Kabul e dell’Afghanistan, perché noi siamo una organizzazione imparziale, e non possiamo parlare di politica”.

 

ALEF

“Il mio lavoro è su più piani. Primo, lavoro come fisioterapista con i pazienti, secondo mi occupo del dormitorio, terzo dell’istruzione dei disabili, e quarto anche della distribuzione di articoli da cancelleria per gli studenti e per le scuole. Ecco perché sono sempre occupato. Lavoro qui da circa 10 anni. Questo centro è di grandissimo aiuto per i disabili, sia perché dà le protesi e li rimette in piedi, sia per il sostegno umano.

Finita l’università a Kabul, in accordo con i piani del governo andai a Mosca per specializzarmi in Storia filosofica e politica. Passavo molto tempo con autorità del governo, e gente in alto nel mondo della politica, dell’economia e della cultura. Poi andai 4 anni a Praga per prendere la laurea in Scienze sociali. Nel 1993, allora lavoravo come insegnante all’Accademia delle Scienze, un giorno che ero tornato a casa per fare qualcosa, un missile è esploso davanti a casa, e sono rimasto ferito. Dopo 5-6 giorni mi hanno amputato la gamba sinistra sopra il ginocchio. La mia vita ha cambiato completamente direzione. Ora sono felice con questo lavoro, lavoro onestamente quanto posso per il centro ortopedico, per i disabili, e anche per me stesso. 

La mia idea della democrazia è: un mondo, un’economia, una cultura per tutti gli esseri umani, senza differenza tra bianco e nero, tra destra e sinistra, tra Est e Ovest. Democrazia significa che tutti gli esseri umani sono uguali, e non deve essere solo un’idea, ma una pratica di lavoro in quella direzione. Questo è il mio pensiero, la mia speranza e anche il mio sogno.

Io penso che l’economia di pianificazione sia utile per tutta la società, non solo per una sua parte. Per contro la teoria del libero mercato è buona solo per pochi borghesi, capitalisti che lavorano solo per il loro interesse. Nelle società comuniste la politica e la costituzione sono per la maggior parte del popolo.  Nei paesi dell’Est c’è più democrazia.

Non solo io, ma tantissime persone in Afghanistan rimpiangono il governo sovietico, perché ci aveva dato molto, mentre ora tutto è distrutto: non ci sono più case, strade, fabbriche, tutto è distrutto. La ricostruzione parte da zero. Anche quegli altri paesi che hanno cambiato regime ora sono d’accordo con la teoria e l’ideologia comunista, perchè si sono resi conto che per la gente era meglio, era una vita fortunata. L’ideologia realista si sta realizzando piano piano nel mondo.

Io ho letto i libri di Mr Gramsci, e ho molto apprezzato l’idea della rivoluzione ottenuta non con le armi, ma con il pensiero. Il suo metodo era l’uso dei principi della dialettica per la democrazia reale e per il beneficio di tutta la società. Io credo che questo modello sia molto positivo perché le armi distruggono, la guerra distrugge. Il nostro paese deve essere disarmato. Fino a che c’è il governo delle armi, non c’è democrazia, significa che siamo gli uni contro gli altri. Il processo di democratizzazione deve passare attraverso il disarmamento. In questo l’Isaf ci può molto aiutare.  Grazie all’Isaf la situazione di Kabul è sotto controllo. Senza, ci sarebbe troppo caos, tutto sarebbe disorganizzato, e distrutto. Spero che l’Isaf estenderà la sua presenza in tutte le altre provincie dell’Afghanistan, perché la pace non ci sarà mai finché a governare saranno i signori della guerra locali. La presenza dell’Isaf è positiva per la sicurezza delle strade, delle famiglie, delle fabbriche, dei ministeri, delle frontiere”.

 

AREZU

“Ho perso la gamba per un missile. Ho perso anche mia madre, mio padre, e una sorella. E’ così triste ricordare quell’incidente e quel brutto periodo. Sono stata due mesi e mezzo all’ospedale, durante i quali non mi avevano detto che i miei cari erano morti. Quando l’ho scoperto non volevo più vivere, perché era troppo difficile per me. Ma poi, quando sono venuta al centro ortopedico per la protesi e poi per chiedere lavoro, e Mr Alberto mi ha aiutata, ho sentito che la vita cambiava. E’ un lavoro molto interessante, ascoltare e risolvere i problemi dei disabili. Quando lavoro non penso che sono disabile, e mi scordo tutto il mio dolore. 

Il mio sogno è naturalmente di avere una famiglia. Tutti vogliamo avere famiglia, sposarci, fare figli, e giocare con i bambini. Ma l’unico sogno a cui penso in continuazione è di andare a trovare mio fratello, che vive in Olanda. Vorrei tanto andarlo a trovare, e stare con lui, perché vive da solo”.

 

DIBA

E’ tradotta da Arezu.

“Lavoro alla lavanderia del centro ortopedico come stiratrice. Sono poliomenitica, ho tutte e due le gambe paralizzate da quando ero piccola. Mi hanno assunta qui quando è morto mio padre.

Mi piacciono troppo i vestiti da uomo. Durante il regime talebano volevo girare per le strade e parlare liberamente con tutti, non come le ragazze, e così ho cambiato la mia identità, e sono diventata come un uomo. Nessuno si accorgeva che ero una ragazza, lo sapevano solo in famiglia e qui, al centro. Ma mi è sempre piaciuto fare il maschio, non l’ho fatto solo per i Talebani. Non mi voglio sposare e fare i bambini, voglio restare così come sono, per tutta la vita. Questo è il mio desiderio”.

AREZU: “Sono sicura che un giorno cambierà. Si sceglierà un uomo e si sposerà, perché è troppo noioso restare così. Né uomo, né donna. Sì, questo è il mio sogno, e non il suo, ma sono sicura che lei cambierà. Sua madre non potrà prendersi cura di lei per sempre, e i fratelli e le sorelle dovranno pensare alle loro famiglie. Anche se i fratelli e le sorelle dovessero accettarla, non lo farebbero i cognati. E anche se i cognati dovessero mai accettarla così com’è adesso, lo farebbero solo all’inizio, ma poi… Per questa ragione lei deve cambiare, e deve decidere di essere donna”.

 

BARIALAI

“Mi ero rivolto al centro per la protesi della gamba, ma anche per trovare un lavoro. Ero disoccupato perché ero disabile. Mr Alberto mi ha aiutato moltissimo, lui mi piace davvero. Ho imparato a cucinare a casa sua, anche cucina italiana. Il suo cuoco mi ha insegnato proprio un buon lavoro. 

Sono stato ferito alla gamba da una pallottola. Non ero soldato, stavo lasciando Kabul perché era troppo pericoloso vivere là. C’erano troppi combattimenti. Non ho mai saputo chi ha sparato, se i Talebani, o chi altri.

Ognuno ha il suo sogno. Il mio è di vedere nel futuro l’Afghanistan in pace. Lo chiedo a tutti, a Karzai, a tutti, per favore, mai più guerra”.

 

NAJMUDDIN

“Perché sono arrivato qui? E’ una buona domanda. Sai, 20 anni fa, avevo 18 anni e avevo appena finito la scuola, saltai con la macchina sopra una mina, e persi entrambe le gambe. Fu molto difficile, per l’incidente, e per l’anno di ospedale, e per i 5 anni successivi. Ero diventato una tomba. Non potevo più fare niente. Venni a sapere che avevano aperto il centro ortopedico della Croce Rossa, non qui dove si trova ora, ma dall’altra parte della città. Voilà, mi presentai, e la vita cambiò completamente. Mi offrirono di lavorare per il centro, all’inizio come aiuto-fisioterapista, poi come responsabile del dipartimento. Dal ’94 sono direttore del centro. Ero l’unico a mantenere la famiglia, e quindi questo lavoro è stato un gran bene, e a maggior ragione perché è un lavoro per i disabili.  Capisci, perché li conosci, i loro problemi, e questo li aiuta. Anche psicologicamente gli è di grande aiuto vedere che si può continuare a vivere, anche a lavorare.

Per la gente che non ha mai visto un posto del genere, o tutti questi disabili insieme, è un po’ triste venire qui, ma in realtà questo è un posto felice, dove chi arriva strisciando carponi, o su una sedia a rotelle o su un carrello, se ne va via sulle sue gambe. Questo mi dà sempre molta molta felicità. 

Quando penso al mio paese sono ottimista. Spero che andrà bene, anche se, dopo 23 anni di guerra, il cambiamento non potrà essere immediato”. 

 

 

ALBERTO CAIRO

Io sono venuta qui perché ho raccolto l’appello delle donne afghane che chiedevano di non essere dimenticate. Da fotografa come posso aiutarvi?

Bisogna continuare a parlare dell’Afghanistan. E’ l’unica cosa. Perché la gente crede che partiti i Talebani non ci siano più problemi. E che vuol dire? E’ come in Italia, quando i tedeschi non c’erano più, c’era tutto un paese da ricostruire. E qui si parte da una base molto più bassa di quella che era l’Italia di allora. Poi la guerra non è del tutto finita. Comunque la cosa che mi fa più impressione, più paura, che mi spaventa di più in Afghanistan, è il livello di educazione “meno 47”. Proprio è spaventoso. Io per ragioni di lavoro ho molti contatti con gli insegnanti. Il livello degli studenti è tremendo. Il livello degli insegnanti è spaventoso. Non sanno niente. Niente! Dici proprio che non è possibile. Bisogna iniziare ad insegnare agli insegnanti. L’istruzione in genere è spaventosa. Per rimetterla in piedi ci vorranno veramente anni e anni e anni.

Ti senti proprio a casa qui?

Sì, direi di sì, qui è il posto dove sono contento di essere. Sono arrivato per caso, non avevo scelto di venire in Afghanistan, me l’hanno proposto, però ci sono rimasto per scelta, e spero di poterci restare perché mi piace molto. Mi piace, mi piace molto.

Quando sono tornata dopo un viaggio di 10 giorni sembrava che fossi partita per 10 anni. “Bentornata a casa, non partire mai più…” Veramente mi hanno fatto sentire a casa.

E ci credono in questo. I saluti, le partenze, per loro sono molto diversi. Io credo che sia una cosa che sono stati talmente abituati a vedere partire della gente e a non vederla più tornare, che le partenze per loro sono delle vere partenze, non sono come le nostre. Noi partiamo talmente tanto, telefoniamo, torniamo. Loro quando partono, partono proprio, e quando partono in genere non tornano, perché le vere partenze, le grandi partenze, le facevano non per turismo, ma perché scappavano, perché andavano a cercare soldi, lavoro, o perché li deportavano, perché c’erano i bombardamenti. Quindi è tutto diverso. La partenza è un punto interrogativo. Non sai se rivedrai. La lontananza è tutta un’altra cosa. Per cui quando torni ti accolgono ancora con lo spirito della partenza per sempre. “E’ tornato, è un miracolo!” Poi sono molto teatrali, molto melodrammatici. Per dirti “sono contento che tu stia qua” ti dicono “sono contento che resti. Non ti faccio partire più, mi strappo i capelli…” Non devi prenderli molto alla lettera, però sono molto simpatici.

Io mi sono fatta un sacco di risate con loro, risate senza filtro, come quelle che si fanno da bambini.

Qui ti diverti. Qui ridi molto. E ti arrabbi anche. Io mi arrabbio anche senza filtro, le cose mi fanno così arrabbiare certe volte. Quando scopri che ti chiedono consigli, ti chiedono cose che sanno già, che hanno già deciso, e “allora, ma perché mi vieni a chiedere queste cose?” “Perché tu sei come mio padre”. “Io non sono come tuo padre, non lo sarò mai e non lo sono mai stato. Decidi tu, ma se vieni a chiedere consiglio è perché veramente vuoi un consiglio, non per una formalità”. E mi arrabbio perché mi fanno perdere tempo, a volte discuti per delle ore, poi alla fine scopri che tutto era già deciso, sapevano già prima. Le cose dirette in genere tendono a non dirle, tendono a mediare. E poi raccontare bugie sembra essere lo sport nazionale. Non è una menzogna nel senso di volerti mentire, ma è che bisogna mentire, non bisogna mai dire tutta la verità. E' un po' come una regola che la mamma ha insegnato al bambino dandogli il latte”.

Alberto, quando scoprono che non sono sposata, qui tutti mi dicono che dovrei sposarmi con te. Ti vogliono proprio vedere accasato.

Sì, sì, quella del matrimonio è proprio una grande fissazione. Non capiscono perché non mi sposo e mi propongono a tutte proprio tutte le donne che vengono a trovarci qui. Anche in certi casi che proprio…