Under the Dress

LA SARTORIA DEGLI OSCAR

Viaggio nella storia dei primi 60 anni di Tirelli costumi

di Laura Salvinelli

 

   Ha ragione Giuseppe Tornatore a dire che “andare da Tirelli è come per un ragazzino che deve fare la Prima comunione entrare in Chiesa col vestito e il giglio bianco in mano. Qualunque cosa tu tocchi, tocchi una stagione importante del cinema. Quasi hai paura a sederti perché sai che in quella sedia ci si è seduto chissà chi e hai paura di rovinarla”. Siamo nella sartoria che finora ha fatto vincere 17 Oscar ai migliori costumi e ripercorriamo insieme al Presidente Dino Trappetti la sua storia per festeggiare i primi 60 anni di attività. Nel suo studio, che è stato di Umberto Tirelli e ha mantenuto intatto e ugualmente attivo, il Signor Dino ci riporta in un’epoca “con un gran fervore di cervelli, curiosità e creatività, un’esplosione di circostanze”. Il racconto inizia intrecciando la storia dello spettacolo a quella di grandi amicizie e della Dolce vita. “Chi è quel brunetto che si agita tanto? Ditegli di stare calmo”: Umberto a 27 anni riesce a mettere piede sul palcoscenico della Scala di Milano per La Traviata con la Callas come assistente dell’assistente dell’assistente del costumista e a farsi notare da Visconti. Tirellino, come lo chiamerà sempre Luchino, non si calmerà mai. Il regista lo porta a Roma, e lo fa entrare nella comune di Via dei Due Macelli dove abitano Franco Zeffirelli, Mauro Bolognini, Danilo Donati e Piero Tosi, e nella sartoria Safas”. Con i costumi realizzati da Tirelli, Donati vincerà l’Oscar nel 1977 per IlCasanova di Fellini, Tosi l’Oscar alla carriera nel 2013. Nella sartoria Safas nel 1960 avverrà l’incontro fatale tra Tirelli e Trappetti che al tempo era attore. “Il gattopardo: tutto inizia da lì”, spiega Trappetti. “Comincio a sentir parlare del film e leggo il libro. Quando mi invitano a cena, a Visconti un ragazzo di 20 anni che sa tutto sul Gattopardo fa impressione, e mi propone: “Dammi del lei ma chiamami Luchino”. Gli chiedo: “Chi farà il Principe di Salina?” e lui: “Non si sa ancora, mi piacerebbe tanto un certo attore ma mi daranno un cowboy”. Quel cowboy sarà Burt Lancaster - già in Senso per la parte di Franz il regista avrebbe voluto Marlon Brando, ma non lo aveva ottenuto perché non era ancora abbastanza famoso in Italia. Dunque, Tirelli alla Safas realizza i costumi del Gattopardo e siccome fa un lavoro incredibile, decide di mettersi in proprio. Aiutato dall’investimento di due milioni e mezzo dell’amico Dino, con due macchine da cucire, cinque sarte, una modista, una segretaria e un autista/magazziniere a novembre del 1964 apre la sua sartoria. Da allora la sua impresa non fa che crescere, e ora ha 45 fra dipendenti e collaboratori esterni e una collezione di più di 350.000 costumi prodotti artigianalmente e circa 15.000 abiti d’epoca originali. Trappetti intanto scende dal palcoscenico ma non lavora ancora nella sartoria di cui è socio, e si fa strada nelle pubbliche relazioni a partire dal Festival dei Due Mondi di Spoleto. Conosce i grandi ballerini, attori, registi, pittori. Fino a che, purtroppo, Tirelli muore prematuramente a fine 1990 lasciandogli la responsabilità della sartoria, e a quel punto prende il timone. Inizia così la seconda parte della storia di Tirelli costumi.

   “Umberto diceva: “Io non vado in America, se l’America mi vuole mi viene a cercare”. Ed era successo così con Milos Forman per Amadeus, Oscar per i migliori costumi nel 1985. Io invece, andando a ritirare l’Oscar insieme a Gabriella Pescucci nel 1994 per L’età dell’innocenza di Martin Scorsese, smuovo un po’ le acque e sostengo la nostra rinascita a livello internazionale. Prendendo la statuetta per Il paziente inglese di Anthony Minghella nel 1997, Ann Roth dice: “Lavoro nel cinema da tanti anni, ho vestito tutte le star americane da Elizabeth Taylor a Sigourney Weaver a Meryl Streep, ma sono dovuta andare in Italia per vincere un Oscar. Thank you, Tirelli”. Mentre il cinema italiano, che “il neorealismo aveva fatto esplodere nel mondo e i maestri come De Sica, Fellini, Visconti avevano portato alle stelle”, negli anni ’80 inizia a declinare fino alla crisi attuale, Tirelli costumi continua a lavorare per le grandi produzioni americane e del mondo e a far vincere Oscar. Anche se la crisi non tocca la sartoria, Trappetti lancia un appello accorato contro quella che Nanni Moretti all’ultimo Festival di Venezia ha definito “la pessima legge sul cinema”: “Con la riforma del tax credit le piccole produzioni non girano più, e le grandi vanno a girare altrove. Ci sono migliaia e migliaia di persone senza lavoro, gli studi di Cinecittà sono vuoti. Se l’Italia non si sveglia, non si produrranno più film da noi”.

   Nell’atelier in cui siamo, un giorno, nell’orario di chiusura, si è presentato “un uomo con la barba, in bermuda e sandali francescani che cercava Trappetti”, ricorda Laura Nobile, la coordinatrice generale. “Quando gli è stato chiesto: “Scusi, lei chi è?” ha risposto: “Martin Scorsese”. Qui è venuta Sophia Loren dopo quasi cinquant’anni da un errore involontario di Tirelli. Per uno sbaglio di data del costumista, un abito della diva era stato consegnato rocambolescamente, con la sarta che cuciva in aereo e in macchina, perché le riprese erano in Scozia, con due ore di ritardo, e lei non aveva voluto più sentir parlare della sartoria. Racconta appagato Trappetti: “Mi è venuta incontro dandomi la mano e dicendomi: “Vede, finalmente siamo qui. Io sono stata troppo severa ma allora avevo tanta paura, ero ancora giovane e se tutto non era perfetto mi sentivo insicura. Mi dispiace, però siamo qui, e non è detto che sia l'ultima volta”. Si prova un tailleur grigio ed esclama: “Ero sicurissima, è perfetto, sembra uno Schuberth”. Emilio Schuberth era il sarto della Dolce vita, specializzato in tailleur. “Però, Sophia, anche lei ha una schiena perfetta e quindi il tailleur appoggia bene sui suoi fianchi” le rispondo e lei: “Eh sì, ‘na fatica… Chiamate a Dodò per favore, me so’ stufata de sta’ in piedi!” Nel laboratorio in cui ora siamo con Laura, la sarta Pamela e la tagliatrice Maria Rosaria, è stata vista Inghilterra-Italia con Jude Law in mutandoni ‘800 perché la prova costumi di Ritorno a Cold Mountain di Minghella coincideva con la partita. “Il costumista Carlo Poggioli, tifosissimo, smaniava, a un certo punto abbiamo deciso che la prova poteva aspettare e, recuperata una televisione portatile, ci siamo divisi: Jude Law e il suo assistente a sinistra a tifare per l’Inghilterra e noi tutti a destra a tifare per l’Italia” ricorda divertita Laura. 

   Umberto Tirelli, uno di quei personaggi che gli inglesi definiscono ‘più grandi della vita’, scendeva in accappatoio da casa sua, il villino accanto, per andare a fare il bagno nella vasca con idromassaggio della sartoria. A volte entrava in laboratorio all’improvviso durante l’ora in cui solitamente faceva la pennichella urlando: “Lo sapevo che fate le cose di nascosto!” Le cose di nascosto andavano da un orlo per la segretaria al vestito di nozze di Pamela. “Gridava, ma noi lo sapevamo che era contento” dice la sarta, che ha iniziato a lavorare a 22 anni, “avrei fatto anche le pulizie pur di stare qui”. Più di tutto le manca la sua voce istrionica. Laura parla con emozione di quello che chiamano “il momento Natale”, l’arrivo delle donazioni delle principesse amiche del Signor Dino o di persone che regalano il guardaroba delle nonne perché sanno che qui lo tengono bene: “Apriamo con eccitazione queste valigie e, “guarda questa è una cuffietta ‘800”, “non ci posso credere, guarda questo pizzo”, “questo ventaglio è del 1880”, e quindi ci mettiamo a datare, a sistemare e a fare l’inventario di tutto”. Maria Rosaria aggiunge: “Un altro momento magico, che trasmette una gioia infinita è quando le attrici provano gli abiti e sono felici”. Oltre all’eccellenza, oltre alla perfezione dell’artigianato, l’empatia è l’altro elemento fondamentale della sartoria. Dall’empatia con i costumisti, i registi, gli attori, a quella con i dipendenti e collaboratori, a quella con cui ci hanno accolto, unica e inaspettata. Per cui ha ragione Tornatore a dire che qui si ha paura di rovinare la sedia dove chissà chi ci si è seduto, però il timore svanisce grazie a tale accoglienza.

   In questo laboratorio, dice infine Pamela, “sono venute le sceneggiatrici e le attrici del nuovo film di Ferzan Özpetek Diamanti. Le sceneggiatrici hanno parlato anche con me, abbiamo dato loro dei suggerimenti per raccontare il lavoro dentro una sartoria. Le attrici ci hanno guardate in silenzio per capire come ci muoviamo al tavolo, quelle che interpretano le sarte accanto alle sarte, la tagliatrice accanto alla tagliatrice”. Maria Rosaria conclude: “Col costumista Stefano Ciammitti abbiamo vestito tutto il cast, anni ’70. E abbiamo realizzato uno stupefacente abito-scultura con 160 metri di mikado rosso che lascerà a bocca aperta gli spettatori”. Grazie, Tirelli costumi, per far volare alto, che più alto non si può, il cinema italiano. Thank you, Tirelli.