Don't Erase Us

NON CI CANCELLATE

foto e testo di Laura Salvinelli

 

   “In pochi giorni hanno vietato alle donne di accedere alle università e di lavorare nelle ONG. Il mio primo pensiero è stato “come farò a pagare l’affitto e a mantenere la mia famiglia?”. Dopo di noi, chi curerà le donne visto che non ci saranno più dottoresse né infermiere? Ma poi abbiamo bisogno delle donne in ogni settore. Che ne sarà delle mie figlie?” Shakiba non è solita perdere il controllo e sprofondare nella disperazione. Ha 36 anni e non ha mai conosciuto la pace. Nata a Kabul in una famiglia con 8 figli, a 6 anni ha perso il fratello maggiore per un’esplosione. “È il rischio che corrono tutte le famiglie qui” mi dice. Quando era in terza elementare con tutta la famiglia si è rifugiata in Pakistan, dove ha vissuto per 12 anni. Dopo aver perso un anno, ha frequentato una scuola per profughi e un corso per infermieri di una ONG. A 14 anni sembrava ancora una bambina, ma già lavorava in un ospedale, lo stesso in cui ha visto morire il padre. Da quel momento è sempre stata quella che ha portato il pane in casa per tutti. Una volta rimpatriata insieme alla famiglia, nel 2008 è stata assunta come infermiera nel Centro chirurgico per vittime di guerra di EMERGENCY di Kabul. Nel frattempo è diventata tecnico anestesista, si è sposata, ha avuto due figlie, si è laureata in medicina e ora è la prima donna ammessa alla scuola di specializzazione in anestesia avviata da EMERGENCY nel 2022. È sempre la breadwinner della famiglia perché suo marito è disoccupato da anni. È forte, determinata e tenace, “ma”, ammette, “anche la capacità di sopportazione ha un limite”.

   Il 20 dicembre il governo dell’Emirato d’Afghanistan ha annunciato il divieto alle donne di accedere alle università e ai centri di formazione professionali pubblici e privati, il 24 dicembre quello di lavorare con le ONG nazionali e internazionali. Sono gli ultimi di 16 editti e decreti che in 16 mesi hanno progressivamente ridotto le libertà e i diritti delle donne, fino a escluderle del tutto dalla vita pubblica. Alle donne, che hanno l’obbligo di indossare il niqab, cioè il velo integrale dalla testa ai piedi che lascia scoperti solo gli occhi, e che è solo l’ultimo dei loro problemi, è vietato uscire di casa se non scortate dal mahram, un uomo della famiglia, accedere alle scuole superiori e all’università, lavorare in tutti i settori a parte che nell’istruzione e nella sanità, accedere ai parchi pubblici, alle palestre, alle piscine. Vengono usate come pedine nel gioco politico fra la fazione dei clerici e quella dei talebani cosiddetti pragmatici, meno integralista. E alle differenze fra le anime degli studenti coranici si deve una vasta zona grigia fra le leggi e la loro applicazione, che dipende effettivamente da chi governa sul territorio. In mezzo a tanta incertezza solo una cosa è chiara: è stata dichiarata guerra alle donne.

   Appena saputo degli ultimi decreti, ho chiesto a Stefano Sozza, Country Director di EMERGENCY in Afghanistan, del Centro di maternità del Panshir, completamente gestito da donne, nonché importante polo formativo di ginecologhe, ostetriche, neonatologhe e infermiere. “Nonostante non sia specificato all’interno del decreto, Ministero della Salute e Nazioni Unite ci hanno comunicato che dalle restrizioni restano escluse le organizzazioni sanitarie. Di fatto nessuno per ora ha impedito al nostro staff femminile di venire a lavorare, né ci sono stati controlli nei nostri corsi di specializzazione”. Ho tirato un respiro di sollievo. Gli ho dunque domandato qual è la loro posizione riguardo alle leggi liberticide che, oltre che dichiarare guerra alle donne, si mettono contro non solo la comunità internazionale, ma anche i talebani più moderati e tutta la popolazione afghana. “Il divieto di accedere all’università priva il futuro di professioni indispensabili, anche perché per le norme culturali e religiose locali solo le donne possono stare a contatto con le donne. E il divieto di lavorare per le ONG colpisce non solo le donne ma anche le famiglie che mantengono, e i beneficiari che possono essere raggiunti solo da loro. Inoltre questi decreti causeranno un ulteriore aumento dell’emigrazione. Ora le ONG si trovano di fronte a una scelta etica non facile fra prendere posizione e sospendere le proprie attività a favore dei diritti delle donne oppure decidere, per quanto gravi possano essere le questioni politiche, di non sospendere le attività salvavita o essenziali perché ci rimetterebbero i beneficiari. In Afghanistan su 40 milioni di abitanti 24 sono bisognosi di assistenza umanitaria, di cui 18 di quella sanitaria. Si può credere che sia più facile per noi che almeno finora non siamo toccati dagli ultimi due decreti, ma noi pensiamo che il diritto di ricevere assistenza sanitaria sia fondamentale. Non abbiamo chiuso durante il primo Emirato, non abbiamo smesso a Lashkar-Gah quando eravamo sotto le bombe, siamo rimasti qui il 15 agosto del 2021, e nel Panshir siamo l’unica organizzazione internazionale presente con ospedali propri. Noi abbiamo deciso di continuare il nostro lavoro”.

   Nel suo libro postumo “Una persona alla volta” (Feltrinelli, 2022) Gino Strada ha scritto: “In molti anni passati in Afghanistan ho visto vittime sempre uguali di guerre diverse: prima nella Kabul dei combattimenti tra il governo di Najibullah e i mujaheddin, poi tra i mujaheddin di Massoud e quelli di Hekmatyar, poi tra i mujaheddin e i talebani, poi tra i talebani e le forze internazionali. Verrà anche il momento della guerra di tutti contro tutti”. Ora è il momento della guerra della fazione ultra-conservatrice dei talebani al governo contro le donne, e di conseguenza contro tutti. Poche coraggiose donne afghane per la prima volta sono scese in piazza nella capitale e non solo: in occasione dell’anniversario dell’Emirato hanno chiesto “pane, lavoro e libertà”, hanno protestato contro la strage delle studentesse hazara del 30 settembre scorso e contro il divieto di accesso alle università, hanno manifestato sotto l’ambasciata iraniana in solidarietà con la rivolta “donna, vita e libertà”. Sono state bastonate e incarcerate. Il cambiamento non potrà che avvenire dall’interno, ma deve avere il nostro sostegno. Sta a noi non distogliere lo sguardo e aiutare chi è dalla loro parte.